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La Cerimonia della "posa della prima pietra" della Reggia di Caserta

Riviviamo il racconto della "Posa della prima pietra", la cerimonia dell'inaugurazione dei lavori della Reggia di Caserta direttamente dalle parole di Luigi Vanvitelli

Il giorno 20 Gennaio del 1752, in occasione del compleanno del re Carlo di Borbone, fu celebrata la posa della prima pietra del Palazzo. Tale pomposa cerimonia venne così descritta dallo stesso Luigi Vanvitelli. La Cerimonia è rappresentata nell’affresco della Sala del Trono

Al primo apparire dell’aurora del giorno 20 di gennaio dell’anno 1752, che si dimostrò così puro, e lucido, come se il cielo ancora avesse preso parte alla pub­blica letizia, nel piano destinato all’edificio, comparir si videro i reggimenti di fan­teria di Molise, e dell’Aquila, e vari squadroni di cavalleria dei reggimenti del re e dragoni della regina, che tutti insieme descrivevano l’ambito dei muri principali della futura fabbrica: gli squadroni di cavalleria i due lati maggiori del rettangolo, la fanteria i due minori; gli angoli furono occupati da otto cannoni, due per angolo e ciascuno coi rispettivi artiglieri, e milizie di quel corpo.

Nel sito che perpendicolarmente corrisponde al coro della cappella reale, sorgea un palco rettangolo circondato da comoda gradinata, sopra cui da dieci co­lonne veniva sostenuto un padiglione di ricche tappezzerie; nel mezzo stava situata una gran tavola di velluto, e di broccato ricoperta, d’onde sorgevano quattro do­rati ferri, che s’univano in centro nell’alto, per sostenere appesa la traglia, (della quale vedrassi l’uso in appresso) e terminavano con garbo a sostenere nella cuspide il giglio d’oro. Nel mezzo di questa mensa fu posta la cassetta di marmo, quasi ottagona; che dovea porsi nel fondamento; e perché la funzione di benedirla dovea farsi da monsignor Nunzio, vi era inciso: Ludovicus Gualterius Arcb. Myr. Nun. Ap. Da i lati vi si vedevano due schifi dorati a guisa di urne: in uno di essi stava la calcina, il martello e cazzuola di argento, ambedue col manico d’avorio: nell’al­tra la prima pietra fondamentale in cui Ieggevasi Carolus et Amalia utr. Sic. et Hier. Reg. anno Domini MDCCLII. XIII Kal. Febr. R. XVIII. In disparte poi vedevasi altra pietra, che in segno di altissimo onore, come Architetto dell’Opera, do­vevo io soprapporre». Conteneva questa il presagio di perpetuità espresso col se­guente distico, da me volgarizzato in due versi:

 

Stet Domus, et Solium, et Soboles Borbonia, donec Ad superos propria vi lapis hic redeat.

La Reggja, il Soglio, il Real Germe regga, finché da sé la pietra il Sol rivegga.

Ludovicus Vanvittellius Arch.

 

Rendevano compimento vicino al suddetto magnifico padiglione i due batta­glioni delle guardie italiane e svizzere in due ali disposte.

Il primo a giungere alla funzione fu monsignor Nunzio apostolico, incontrato dal clero della cappella reale; quindi sopravvenne il corteggio nobile vestito a tutta gala, e finalmente le maestà del re, e della regina in muta a sei, col numeroso seguito di altre mute dei cavalieri e delle principali dame di corte, adornate coll’estremo della ricchezza, e della leggiadria.

Discesero le regnanti maestà dalla carrozza, e salirono nel luogo magnifico de­scritto, sopra una predella ricoperta di velluto trinato d’oro, ove si assisero in due ricche sedie di appoggio, attorniate dai cavalieri capi di corte, dai ministri, dai genti­luomini di camera e dagli ambasciatori delle corone straniere, unitamente con molti uffiziali militari di rango, e numerosa nobiltà dei regni. Subito monsignor Nunzio benedisse la cassetta, e la prima pietra fondamentale secondo il rito del pontificale romano. Il re e la regina vi posero dentro molti medaglioni d’oro, d’argento e di me­tallo, ne’ quali dalla parte dell’impronta delle teste reali si leggeva:

 

Carolus rex et Amalia regina PP. FF. II.

Nel rovescio, in cui era impressa la reale fabbrica e giardino:

Deliciae. Regis. Felicitas. Populi.

 

Nell’esergo, Augusta Domus natali die optimi principis jundamenta iacta. Di primo coperchio alla divisata cassetta servì una lastra quadrata di marmo, nei cui an­goli erano impresse quattro croci; su di questa la mano stessa del re con la cazzuola distese la calcina, e soprappostavi la pietra fondamentale, ve l’assodò con alcuni colpi di martello; cinta fu poscia la cassetta unita alla pietra con due cinghie di velluto cre­misino trinate d’oro, le quali combinavansi a quattro col mezzo di una fibbia, e solle­vata dall’asse, a cui era avvolto il cordone di seta cremisina, che si univa al ravvolgi­mento raddoppiato della traglia descritta, che sosteneva il peso, ecco, aprirsi allora la mensa, e prender forma della bocca di un pozzo, per la quale il re svolgendo il cor­done dell’asse, in cui era adattato un manico di legno indiano, fe’ dolcemente scen­dere la pietra sino sul fondo preparato già nella dura terra vergine, e quivi dal capo maestro fabbricata, e ricoperta fu con quella dell’architetto; mentre i due clementis­simi regnanti del lavoro, che facevasi nel fondamento, si erano fatti spettatori del cennato forame. Rimbombava intanto, e la circostante campagna, e l’aria stessa delle gioiose acclamazioni dei popoli, dal concento dei bellici musicali strumenti, e dal fre­quente regolato strepito dei fucili, e delle artiglierie”.

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