La Sala di Astrea era l'Anticamera degli Ambasciatori

La Sala di Astrea fu l'Anticamera degli ambasciatori e dei gentiluomini di camera della Reggia di Caserta

Descrizione

L’Anticamera degli Ambasciatori (detta Sala di Astrea) nella Reggia di Caserta era destinata all’uso di Anticamera per gentiluomini di camera, ambasciatori, segretari di Stato ed altre persone privilegiate. Astrea era la dea della giustizia dell’antica Roma.
Come per l’Anticamera dei Baroni (detta Sala di Marte), anche questa sala fu opera dell’architetto Antonio De Simone, e commissionata dai sovrani Joachim Murat e Carolina Bonaparte quando furono re e regina del Regno di Napoli.
Fra gli stucchi bianchi e oro della volta vi la tela con “Il trionfo di Astrea”, dipinta nel 1815 da Jacques Berger (Chambery, 1754 – Napoli, 1822). Notevolissimi sia i due enormi caminetti con sopra grandi bassorilievi dorati, ed il pavimento, un intricato labirinto realizzato in mosaico di marmi.
Le Sale di Marte e la Sala di Astrea sono da molti riconosciute quali, in assoluto, le più splendide sale in Stile Impero mai create.

Il progetto per questa Sala fu creato nel 1809 e si conservano due progetti al Museo di San Martino in Napoli.

Antonio de Simone – Progetto della Sala – 1807-1824

Antonio de Simone – Progetto della Sala – 1807-1824

Il plastico originale del progetto della Sala

DECORAZIONI ED ARREDI DELL'ANTICAMERA

L'affresco ed il soffitto

Questa Sala fu commissionata dai sovrani Joachim Murat e Carolina Bonaparte quando furono re e regina del Regno di Napoli e rappresentano la punta estrema della loro parabola artistica.

Fra gli stucchi bianchi e oro della volta vi è l’affresco, o meglio la tela con “Il trionfo di Astrea”, dipinta nel 1815 da Giacomo (Jacques) Berger, pittore savoiardo, nato a Chambery nel 1754 e morto a Napoli, nel 1822. Il Berger probabilmente si ispirò al fondatore del neoclassicismo pittorico, Anton Raphael Mengs dal cui Parnaso (1761) riprese l’impostazione teatrale. Al centro della tela vi è, sorridente e compiaciuta, Astrea la dea della Giustizia seduta su una nuvola e circondata da figure allegoriche che vengono ammansite da Ercole, mentre  indica al padre Giove il ritorno della Giustizia nel Regno di Napoli. Ella regge in una mano la bilancia della Giustizia, e con l’altra un fascio littorio, che rappresentava il potere di vita e di morte sui condannati romani.

Secondo le intenzioni di Berger, costei avrebbe dovuto recare le sembianze della regina Carolina: tuttavia, è probabile che, analogamente a quanto avvenuto per il Marte di Calliano, anche per questa figura la mano dell’artista sia ritornata a correggere le sembianze del volto per volontà borbonica, come dimostrerebbe la presenza di piccoli gigli sulla corona.

Il soffitto è un trionfo dello stile Impero

L’affresco

Dettaglio del soffitto

L'iconografia dei coniugi Murat

Autore: Giulio Brevetti

All’interno della nutrita iconografia di Gioacchino e Carolina Murat, un posto importante spetterebbe ai due dipinti che ornano le volte della Sala di Marte e della Sala di Astrea nel Palazzo Reale di Caserta, la punta estrema della loro parabola artistica: non si tratta di scene esplicitamente celebrative, né tantomeno di ritratti tout court, bensì di episodi storico-mitologici che proprio per tale ragione sono sfuggiti all’iconoclastia borbonica, limitatasi soltanto ad alterare i volti dei due napoleonidi raffigurati all’epilogo della loro rapida ascesa, come ricordano i documenti d’archivio.

Anche se oggi non paiono recar traccia dei loro committenti, il Trionfo di Marte e il Trionfo della Giustizia, realizzati contemporaneamente tra il 1812 e il 1815, costituiscono due complessi e inediti ritratti della coppia reale francese: scegliendo di apparire nelle vesti di un dio e di una figura allegorica, i coniugi Murat sembrano quasi adattarsi a quegli ambienti dove i loro predecessori si lasciavano immortalare in altre sembianze, tradendo così una volontà di uniformarsi all’immaginario figurativo di quell’Ancien Régime che avevano soltanto in teoria soppiantato.

La dea Astrea ha il viso di Carolina Murat, l’originale committente della Sala, ma sulla corona furono aggiunti poi i gigli borbonici

Pareti e pavimento

Il pavimento è un intricato labirinto a mosaico

Dettaglio del pavimento 

Una parete. Notare i due grifoni che reggono un giglio, certamente una modifica fatta alla sala col ritorno dei Borbone

Le sculture

Sulle pareti decorate in scagliola a finto marmo persichino furono collocati, nel 1822, i rilievi in stucco dorato con “Minerva fra la Legislazione, la Ragione e l’innocenza” modellati da Valerio Villareale e “Astrea con Ercole e le Province del Regno” del Villareale e Domenico Masucci.

Valerio Villareale fu certamente il migliore degli scultori che abbiano lavorato a Caserta. Nato a Palermo nel 1773, studiò in Sicilia col pittore Giuseppe Velasco (tra i principali esponenti del neoclassicismo) ed a Roma sotto la guida di Antonio Canova, dal quale apprese il modellare sicuro e robusto e la classica compostezza della composizione. Al principio del 1812 il Villareale lavorava attorno a tre pannelli per i soprapporta della Sala di Marte; più tardi ne eseguì altri due, insieme al grande bassorilievo nel centro della parete di fronte alle finestre e alle Vittorie con trofei sulle pareti minori.

Insieme col Villareale presero parte all’esecuzione dei bassorilievi lo scultore D’Antonio, Claudio Monti ed il gia citato Domenico Masucci.

Valerio Villareale e Domenico Masucci – “Astrea con Ercole e le Province del Regno” . Notare il giglio borbonico in mano ad Ercole.

Gli arredi

Questi sgabelli erano in origine nel Palazzo delle Tuileries di Parigi,  furono portati qui dai Murat.

Uno dei due lampadari

Uno dei due camini

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