La Sala di Marte, Anticamera dei Baroni e degli Ufficiali

La Sala di Marte era l'Anticamera per i Titolati e Baroni del Regno, Ufficiali Maggiori ed intendenti Esteri

Descrizione

L’Anticamera dei Baroni, detta anche Sala di Marte, era destinata all’uso di “Anticamera per i titolati, i nobili, ufficiali maggiori ed intendenti esteri”. Marte era il dio della guerra dell’antica Roma.
Questa e l’Anticamera degli Ambasciatori (detta Sala di Astrea) furono progettate non più da Carlo, il figlio di Luigi Vanvitelli, ma da Antonio De Simone, architetto di corte dei Murat, realizzate contemporaneamente e terminate nel 1815. Al tempo, infatti, il Regno era non più sotto la dominazione borbonica ma di Joachim Murat e Carolina Bonaparte. Al loro ritorno i Borbone non effettuarono alcuna modifica in questa Sala.
L’iconografia della Sala rappresenta i valori militari quali strumenti indispensabili per dare gloria e fama al potere.

Antonio de Simone – Progetto di una parete della Sala – 1807-1824

Il plastico originale del progetto della Sala

Antonio de Simone – Sezione con progetto del pavimento della Sala – 1807-1824

Decorazioni della Sala di Marte, l'Anticamera dei Baroni

L'affresco ed il soffitto

Autore: Giulio Brevetti

Sulla volta, tra trofei di stucco bianco e dorato, palme e corone di quercia (opere di Carlo Beccalli e Lucio Lucchesi), spicca al centro il dipinto de “Il trionfo di Marte” di Antonio Raffaele Calliani.

Nell’Anticamera dei Baroni, detta Sala di Marte, in conformità con la decorazione plastica dedicata a episodi dell’Iliade, il giovane Calliano sceglie di rappresentare un preciso passo del V canto, quello in cui si assiste – in seguito al ferimento di Enea e alla provvidenziale comparsa della madre Venere – allo scontro tra Diomede e Aiace da una parte, e “il priamide Ettore di grand’elmo agitatore” dall’altra, sul cui carro compare il dio della guerra, protettore dello schieramento troiano.

Il soffitto

L’affresco

Dettaglio degli stucchi.

L'ICONOGRAFIA DEI CONIUGI MURAT

Autore: Giulio Brevetti

All’interno della nutrita iconografia di Gioacchino e Carolina Murat, un posto importante spetterebbe ai due dipinti che ornano le volte della Sala di Marte e della Sala di Astrea nel Palazzo Reale di Caserta, la punta estrema della loro parabola artistica: non si tratta di scene esplicitamente celebrative, né tantomeno di ritratti tout court, bensì di episodi storico-mitologici che proprio per tale ragione sono sfuggiti all’iconoclastia borbonica, limitatasi soltanto ad alterare i volti dei due napoleonidi raffigurati all’epilogo della loro rapida ascesa, come ricordano i documenti d’archivio.

Anche se oggi non paiono recar traccia dei loro committenti, il Trionfo di Marte e il Trionfo della Giustizia, realizzati contemporaneamente tra il 1812 e il 1815, costituiscono due complessi e inediti ritratti della coppia reale francese: scegliendo di apparire nelle vesti di un dio e di una figura allegorica, i coniugi Murat sembrano quasi adattarsi a quegli ambienti dove i loro predecessori si lasciavano immortalare in altre sembianze, tradendo così una volontà di uniformarsi all’immaginario figurativo di quell’Ancien Régime che avevano soltanto in teoria soppiantato. […]

Nei tanti dipinti che illustrano le battaglie napoleoniche, Murat veniva raffigurato sempre un passo indietro, in secondo piano rispetto all’eroe di quel le gesta, e molto devono aver faticato i diversi pittori celebrativi perché la prepotente fisicità del primo non offuscasse la minuta presenza del secondo.

Adesso, divenuto sovrano di Napoli, la scena è tutta per sé: nel dipinto di Calliano, egli domina non un semplice campo di battaglia, bensì quello per antonomasia; ora, spetta a lui offuscare quello che ne sarebbe dovuto essere il protagonista, quell’Ettore a cui ruba la scena, nascondendolo quasi del tutto con la sua prorompente fisicità. Il Trionfo di Marte è dunque l’esaltazione dell’avventura, dello spirito guerresco, dell’arte militare, del coraggio sprezzante del pericolo e della morte. Quegli aspetti peculiari, cioè, che hanno caratterizzato in vita la personalità di Murat.

Il Dio Marte ha il viso di Joachim Murat, l’originale committente della Sala.

PARETI E PAVIMENTO

Le pareti dell’Anticamera dei Baroni, detta Sala di Marte, sono realizzate in marmi e scagliola e decorate con dodici pannelli in stucco a rilievo. I pannelli ad altorilievo:

  • quelli grandi sulle pareti minori raffigurano due “Vittorie alate con trofei”
  • il maggiore sulla parete lunga raffigura “La Prudenza e la Forza ai lati di un trofeo di guerra sovrastate dalla Fama e dalla Gloria”
  • I nove altorilievi minori raffigurano episodi di Marte, dio della guerra, tratti dall’Iliade.

Tutti gli altorilievi alle pareti, realizzati in stucco sin dal 1812, sono opera di Valerio Villareale, il principale allievo di Antonio Canova.

Valerio Villareale fu certamente il migliore degli scultori che abbiano lavorato a Caserta. Nato a Palermo nel 1773, studiò in Sicilia col pittore Giuseppe Velasco (tra i principali esponenti del neoclassicismo) ed a Roma sotto la guida di Antonio Canova, dal quale apprese il modellare sicuro e robusto e la classica compostezza della composizione. Al principio del 1812 il Villareale lavorava attorno a tre pannelli per i soprapporta della Sala di Marte; più tardi ne eseguì altri due, insieme al grande bassorilievo nel centro della parete di fronte alle finestre e alle Vittorie con trofei sulle pareti minori. Insieme col Villareale presero parte all’esecuzione dei bassorilievi lo scultore D’Antonio, Claudio Monti ed il già citato Domenico Masucci.

Completa la decorazione dell’Anticamera dei Baroni il pavimento intarsiato in marmo verde antico, alabastro e viterliano. È formato da un pattern ad esagoni, con cornice a greca e rosone esagonale al centro. Disegno dell’architetto della Sala, Antonio de Simone, ed esecuzione di Carlo Giobbè.

Valerio Villareale fu il principale allievo di Antonio Canova

Valerio Villareale – “La Forza, la Prudenza, la Fama, la Vittoria” 

Il pavimento è un grande mosaico di marmi

Arredi

I lampadari in stile Impero sono in cristallo di Boemia, mentre la grande coppa di alabastro (alta 170cm), fu un dono di papa Pio IX al Re Ferdinando II in occasione del suo soggiorno a Caserta nel 1849. Nella sala vi sono sgabelli in stile Impero di epoca Murat, oggetti nello stesso stile, e consolle di epoca precedente, in stile Neoclassico, progettate da Carlo Vanvitelli e realizzate nel tipico bianco ed oro borbonico.

Una curiosità: per creare il chiaroscuro, le dorature furono realizzate in parte lucidandole in parte lasciandole opache.

Coppa monumentale in alabastro alta 170cm  donata nel 1849 da Papa Pio IX a Re Ferdinando II come ringraziamento per averlo ospitato dopo essere fuggito da Roma per i moti rivoluzionari della Repubblica Romana.

Console neoclassica su disegno di Carlo Vanvitelli, con candelabri e vaso in stile Impero. Sulla destra sgabelli Impero provenienti dal bruciato Palazzo delle Tuileries in Parigi.

Dettaglio di una porta – Semplicità e grande eleganza

Lampadario in stile Impero in cristallo e bronzo dorato

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