I marmi e le sculture antiche nella Reggia di Caserta

Luigi Vanvitelli, grazie alla sua formazione e ai suoi studi, aveva imparato ad apprezzare la grandezza degli antichi ammirando la magnificenza degli edifici romani e le sculture antiche, con le loro decorazioni in marmo e i loro sontuosi ornamenti. Quando Carlo di Borbone lo chiamò a progettare la Reggia di Caserta, Vanvitelli arricchì il Palazzo non solo dei migliori marmi del Regno, ma di una collezione di statuaria e marmi antichi.

AUT. Veronica Pennini (adattato)

Il reimpiego dei marmi antichi nella Reggia di Caserta

L’impatto che le soluzioni classiche hanno avuto sulla resa del palazzo reale di Caserta, aldilà dell’arredo scultoreo della facciata principale mai realizzato, è evidente nei miti tradotti in marmo o affresco, nelle numerose copie tratte dall’antico presenti nel complesso – e in particolare si ricordano le quattro statue collocate nelle nicchie del vestibolo inferiore, realizzate da Andrea Violani e Pietro Solari, rappresentanti Venere e Germanico, Apollo e Antinoo – e soprattutto nella massiccia pratica di reimpiego di materiali antichi.

La ragione di una così considerevole presenza di marmi antichi nella Reggia di Caserta è determinata dal fatto che la real fabbrica fu un importante crocevia dove giungevano materiali da ogni parte del regno, acquisiti soprattutto mediante ripetute pratiche di spoliazione ai danni degli edifici del passato.

Ai marmi cavati nei dintorni di Caserta si aggiunsero poi i tanti marmi della Collezione Farnese, ereditata da Carlo per lascito testamentario dalla madre Elisabetta Farnese, e trasferita da Roma nella capitale del regno in parte da lui e poi dal suo erede Ferdinando IV. Furono richiesti con insistenza da Vanvitelli – che aveva potuto vederli personalmente accatastati nei depositi della darsena di Napoli -, dal momento che riteneva di poter reimpiegare quelli di minor valore nei pavimenti e destinare quelli più pregiati alla Cappella, somma dedica a Dio per la quale il re aveva ordinato di non badare a spese.

Trovandosi a regnare in un territorio così ricco di reperti antichi, incentivato finanche dalle richieste del suo primo architetto, Carlo si comporta esattamente come i ricchi committenti della tardo-antichità che cercavano marmi pregiati da cavare dagli edifici antichi per inserirli nei nuovi.

Le colonne della Cappella Palatina in marmo giallo antico provengono da una villa imperiale di epoca romana sita a Capri.

Le sculture antiche immesse nel complesso vanvitelliano

Dai documenti dell’Archivio Storico della Reggia di Caserta e dagli inventari si evince che presso il complesso vanvitelliano furono introdotte, insieme ai tanti elementi architettonici, un gran numero di sculture antiche che avrebbero dovuto contribuire a conferire splendore al palazzo. Tra queste si distingue la statua dell’Afrodite di Capua, oggi conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

I depositi della reggia dovevano essere ambienti davvero suggestivi. Citati più volte nei documenti d’archivio, erano stanze ubicate al pianterreno, destinate alla conservazione dei tanti marmi che qui giungevano. Accoglievano, tra una copia di gesso e un modello per trarne l’opera, un gran numero di statue antiche, spesso smembrate, rilievi, epigrafi e marmi colorati.

Oltre alle statue acquisite dalla corona grazie agli scavi promossi nel regno e agli affari conclusi per mezzo dei fidati del re, nei depositi, anche detti “magazzini delle sculture”, furono introdotte le sculture farnesiane giunte da Roma anche grazie al ruolo determinante di Luigi Vanvitelli. Questi, in continuità con la politica di valorizzazione sperimentata da Carlo già nel 1751, immagina di attirare l’attenzione “delli forestieri” sulla nuova reggia mediante i migliori pezzi della collezione.

Statua di Ercole originariamente presente nelle Terme di Caracalla a Roma, e proveniente dalla Collezione Farnese. Dietro il basamento vi è l'ingresso al Teatro di Corte.

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AUT. Veronica Pennini
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