Il Museo Campano di Capua, fondato dal Canonico Gabriele Iannelli nel 1870 ed inaugurato nel 1874. E’ stato definito da Amedeo Maiuri “il più significativo della civiltà italica della Campania”, regione a cui Capua ha dato il nome. Il Museo Campano è ospitato nello storico palazzo Antignano la cui fondazione risale al IX secolo ed incorpora le vestigia di San Lorenzo ad Crucem, una chiesetta di età longobarda nel sito di uno dei tre Seggi nobiliari della città.
Nei primi anni dell’Unità d’Italia si manifestò la necessità di dare forme più concrete anche agli ordinamenti archeologici ed artistici della Nazione e pertanto vennero create speciali Commissioni.
Con Decreto Reale del 21 agosto 1869 venne istituita la “Commissione per la Conservazione dei Monumenti ed Oggetti di Antichità e Belle Arti nella Provincia di Terra di Lavoro, la quale, costatata l’esistenza nella Provincia di una considerevole quantità di materiale di pregio archeologico ed opere d’arte malamente custodita e destinata a sicura distruzione, deliberò la fondazione di un Museo.
Capua, illustre ed antica metropoli della Campania, venne prescelta quale depositaria delle più fulgide memorie della Regione; il monumentale e storico Palazzo dei Principi di S. Cipriano, dono del Municipio, fu la sede del Museo Campano; l’Amministrazione Provinciale di Caserta si assunse il finanziamento per la gestione di esso.
Nel 1874 il Museo Campano venne aperto al pubblico.
Nel 1933 si rese opportuno, per il notevole accrescimento delle collezioni, un riordinamento del Museo che fu curato dal Prof. Amedeo Maiuri, che ha definito il Museo Campano: ” Il più significativo della civiltà italica della Campania”.
Nella varietà e vastità del patrimonio archeologico, storico, artistico e librario che ospita è lo specchio fedele ed eloquente della trimillenaria vita di una metropoli che ha visto avvicendarsi nella sua duplice sede, di volta in volta, Osci, Etruschi, Sanniti, Romani, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli e così di seguito. La sua storia è legata, fra gli altri ai nomi di Spartaco e Annibale, Pandolfo Capodiferro e Pietro della Vigna, Cesare Borgia ed Ettore Fieramosca.
I reperti che accoglie, monumenti e documenti di preziosità incalcolabile, sono stati illustrati negli ultimi secoli da studiosi di prim’ordine , e sono tuttora oggetto di accurate indagini da parte di personalità culturali di alta qualificazione scientifica.
Il Museo è ospitato nello storico palazzo Antignano la cui fondazione risale al IX secolo ed incorpora le vestigia di San Lorenzo ad Crucem, una chiesetta di età longobarda nel sito di uno dei tre Seggi nobiliari della città. L’edificio vanta lo splendido portale durazzesco-catalano che reca incastonati gli stemmi degli Antignano e d’Alagno.
II 9 settembre 1943 un violento bombardamento aereo si abbattete su Capua riducendola un ammasso di rovine. II Museo Campano seguì le sorti di molti altri edifici rasi al suolo, fortunatamente tutte le collezioni erano state preventivamente messe al sicuro, e così potettero essere salvate.
II faticoso e lungo lavoro di ricostruzione iniziato nel 1945 fu portato al termine nel 1956 epoca nella quale si riaprirono al pubblico le nuove sale.
II Museo Campano è diviso in due reparti: Archeologico e Medievale con annessa un’importante Biblioteca; occupa 32 sale di esposizione, 20 di deposito, tre grandi cortili, un vasto giardino.
Indice Collezioni
La Biblioteca del Museo campano è, per il numero dei volumi a stampa e dei manoscritti, pergamene, carte geografiche e stampe che contiene, la più importante di Terra di Lavoro.
A sinistra del cortile (dalla V alla IX sala) é ospitata la collezione delle “Madri”, la più singolare e preziosa del Museo Campano, tra le più rare che Musei italiani e stranieri possano vantare. Nell’anno 1845, durante uno scavo eseguito per lavori agricoli dal Sig. Patturelli, in località “Petrara”, in prossimità dell’antica Capua, vennero alla luce i resti di una grande ara votiva con fregi architettonici, iscrizioni in lingua osca e statue in tufo. Fortunatamente lo scavo che aveva carattere di clandestinità, non venne proseguito, tanto più che il materiale ritrovato venne disperso a scopo speculativo. Nel 1873 e fino al 1887 si effettuarono ricerche con finalità archeologiche ricavandosi da esse abbondante materiale e specialmente un numero considerevole di statue in tufo riproducenti quasi tutte una donna seduta con uno o più bambini tra le braccia, dando la esatta prova che nel luogo fosse esistito un tempio. Questa tesi fu avvalorata dal fatto che tra le anzidette sculture solamente una differiva dalle altre per la spiccata sua impronta ieratica: invece di reggere neonati tra le braccia aveva nella mano destra una melograna e nella sinistra una colomba, simboli della fecondità e della pace, quindi quella sola doveva rappresentare la dea tutelare del tempio dedicato alla maternità. La dea era la “Mater Matuta”, antica divinità italica dell’aurora e della nascita e le “madri” rappresentavano “ex’ voto”; un’offerta propiziatoria e l’espressione di un ringraziamento per la concessione del sommo bene della fecondità. Nel 1930 Amedeo Maiuri richiamò su questi monumenti l’attenzione degli studiosi scrivendo di essi in “Aspetti e problemi dell’archeologia campana”. Da quel tempo si fece vivo l’interesse ed ebbero fervore le ricerche sul carattere e sul valore dell’arte italica esemplificativa nelle sculture di Capua, le quali ci rivelano sia vigore di espressione, sia efficacia di vivo realismo dando a quest’arte popolare un sapore di spregiudicata schiettezza ed un contenuto di intensa umanità. Le “madri” del Museo Campano di Capua formano un complesso unico nel suo genere ed un raro documento in Campania di scultura pre-imperiale e danno l’idea dell’unità dell’arte fiorita sul suolo dell’Italia antica con carattere di forte realismo, con una costante tendenza ad esprimere più il carattere, il contenuto e la destinazione dell’opera che non privilegiare i suoi aspetti stilistici formali. Esse infatti, sono la testimonianza più eloquente del culto con il quale gli antichi campani onoravano il mistero della vita considerando la maternità come un dono divino e avvolgendo di poetica spiritualità l’evento della nascita ritenendolo cosa sacra, come tutto ciò che di vitale esce dal seno della natura. Cronologicamente , esse si situano in un arco di tempo che va dal VI al II sec. a.C. Purtuttavia il VI sec. a.C. non può essere considerato il periodo di inizio poiché alcuni esemplari posseduti sono da attribuirsi ad epoche precedenti, paragonando la loro arcaicità a quella dei monumenti preistorici, tali da essere definiti i prodotti più ingenui della scultura di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Dopo quello del Museo Nazionale di Napoli, è la più ricca raccolta di epigrafi dell’agro campano. Il nucleo principale si deve al grande archeologo tedesco Teodoro Mommsen che lo catalogò nel 1873 mentre attendeva alla compilazione del Corpus Inscriptionum Latinarum. Già nel 1844, nel suo primo viaggio in Italia e nella nostra Provincia, ne aveva rilevato la somma importanza poiché attraverso quelle opere era possibile ricostruire, ed anzi svelare, gran parte della vicenda della nostra terra. A questo si andò aggiungendo una gran parte delle iscrizioni rinvenute negli scavi degli anni successivi. Tra questi si segnalano testi in lingua sia osca che latina; numerose anche quelle cristiane e medievali. Le iscrizioni sono di carattere votivo sia sepolcrale che commemorativo. Notevole per importanza il Miliario della via Appia datato dall’imperatore Costantino Pio con l’aggiunta successiva di una dedica a Valente Valentiniano. Il numero in basso indica la distanza in miglia da Roma. Fu rinvenuto a Capua nel luogo detto “Parco dell’Annunziatella”.
Nei cortili sono conservate lungo le pareti una ricca serie di steli funerarie. Le “Steli funerarie”, lastre tombali verticali le quali erano in gran copia lungo le vie di comunicazione, sono a forma di edicola con frontone e con scene allusive alla vita ed alle occupazioni del defunto. Inoltre vi sono iscrizioni e capitelli. Notevole è l’iscrizione della “Colonia Iulia”, uno dei documenti epigrafici più importanti sia sul piano storico che su quello artistico per la Capua antica; ritrovata mutila nel 1726 fu integrata e resa celebre dal commento del grande filologo antiquario ed epigrafista Alessio Simmaco Mazzocchi, famoso archeologo del XVIII secolo.
Negli ambienti alla destra del 2° cortile sarcofagi figurativi di epoca tardo-romana, rilievi e sculture. Importanti: il sarcofago con il “Ratto di Proserpina” e quello pagano della prima metà del II secolo raffigurante un’anima, personificata da un personaggio togato. Di rilevante valore storico iconografico, è diviso in tre scomparti, in quello di sinistra è raffigurata una donna con la sua ombra e un erma femminile; in quella di destra il marito con la sua ombra e un’erma maschile. Nel pannello centrale è scolpita la defunta in atto di uscire dalla porta della “Domus Eternalis”. Di singolare importanza è la lastra in marmo dedicata a “Lucceius pecularis redemptor teatri” che rappresenta in rilievo la messa in posa di una colonna per la costruzione del proscenio del Teatro di Capua . Partendo da sinistra si nota una ruota a pale mossa da due schiavi posti al suo interno. Fra la ruota e l’argano un artigiano scalpella un capitello. Presiede ai lavori la triade capitolina di Capua: Minerva elmata, Giove in trono e Diana con l’arco. Il personaggio di destra, munito di cornucopia, è il Genius Theatri. Da notare ancora: un’urna cineraria su una colonna delicatamente scolpita con motivi floreali.
A destra dell’ingresso il salone dei mosaici:
Da notare: il mosaico (7) policromo proveniente da S.Angelo in Formis raffigurante un “coro sacro”; pannello decorativo del tempio dedicato a Diana Tifatina, sito alle falde del Monte Tifata (S. Angelo in Formis), di arte campana di età costantiniana, III sec. d. C.. Alla destra del “coro sacro” un frammento di mosaico (8) con la scena di un banchetto, I-II sec. d. C.. Nella stessa sala: un busto acefalo in marmo (9) di una “venere” di arte ellenistica; un frammento di affresco (10) raffigurante la cerva “numenlaci” che si diceva fosse presente da mille anni nel tempio di Diana e che al tempo dell’occupazione dei romani si sarebbe portata nel loro accampamento e sacrificata a Latona, secondo il costume dei romani che solevano incorporare al loro “pantheon” le divinità dei popoli sottomessi.
In queste sale é ospitata la collezione dei vasi. Il numero elevato delle collezioni di vasi presenti nel Museo Campano testimonia non solo la remotezza di questo peculiare prodotto artistico ma anche del suo evolversi – sul piano stilistico e compositivo – nel corso dei secoli dall’età protostorica della civiltà del ferro ornati da semplici linee incise ai vasi etruschi del VI secolo a.C., dai vasi di bucchero ai vasi greci del V sec. a C., dai vasi italioti a quelli campani del III e II sec. a.C. Sono disposti in vetrina e su mensole raggruppati secondo le diverse caratteristiche di stile.
Famose nel mondo le terrecotte del Museo Campano di Capua per il loro rilevante interesse archeologico e per la grandissima varietà dei tipi.
Sono divise in due gruppi: le architettoniche e le votive e figurative.
Le votive sono la testimonianza della fervida attività religiosa che animava i popoli campani nell’antichità; generalmente avevano due destinazioni: o venivano offerte dai fedeli nei santuari, oppure erano deposte nelle tombe come corredo funerario accanto al morto. Sono preziosi documenti della vita antica, dell’arte, della religione, del costume. Sono in alcuni casi l’unica testimonianza di determinati culti, rilevando il tipo del simulacro della divinità o rappresentando forme caratteristiche dei simboli ed attributi che si riferivano all’idolo.
In nessun altro sito come a Capua sono state rinvenute tante iscrizioni in lingua osca su pilastrini di tufo o fittili detti iuvilas (visibili a richiesta). Vario e molteplice è il loro significato e la loro destinazione. Infatti, fanno riferimento a sacrifici relativi a culti gentilizi collegati sia alle nascite, che alle morti, con valore protettivo.
La collezione del Museo Campano riveste un grande interesse per gli storici ed archeologi perché fornisce un ampia documentazione sulla circolazione monetale fin dai tempi più antichi in Campania e attraverso i suoi esemplari, molti dei quali di singolare preziosità testimoniano l’evolversi della monetazione dai suoi albori fino all’epoca medievale. Per freschezza di conio e rarità di emissione citiamo le monete di Sibari, Taranto, Metaponto, Crotone, Velia, Paestum, Atella e naturalmente Capua. Nonché le monete dei Mamertini di Cartagine, di Siracusa e di Egitto pervenute in Italia probabilmente come bottino di guerra.
L’evolversi della numismatica é resa comprensibile da un sistema espositivo cronologico, dalle rare monete delle colonie della Magna Grecia del VI sec. a.C. ai denari d’argento della Roma repubblicana; dalle monete longobarde del Mezzogiorno d’Italia agli argenti borbonici del Regno delle Due Sicilie. Tra le medaglie degne di nota i rari esemplari di epoca rinascimentale. Di interesse storico le medaglie dei Papi e quelle risorgimentali. II medagliere, esclusi alcuni esemplari, é dono al Museo Campano della Famiglia Garofano-Venosta.
Le terracotte architettoniche, delle quali un foltissimo numero sono datate VI-V sec. a.C., assolvevano alla funzione di ornamento, principalmente per gli edifici adibiti al culto delle varie divinità pagane celebrate in Campania.
Per quanto riguarda le terrecotte architettoniche, acroteri, antefisse, lastre, coppi, tegole, Capua ne derivò l’uso dai Greci che li impiegavano per la copertura dei tetti dei loro edifici, sia a scopo decorativo che apotropaico cioè per tenere lontano gli spiriti maligni e i loro influssi nefasti.
La maggior parte di questi oggetti furono rinvenuti presso i templi della Dea Madre e di Diana Tifatina. Risalenti i più antichi al VI secolo a.C. rappresentano soggetti zoomorfi, come protomi di grifo e dalla testa equina, arieti e cavalli. Molte antefisse sono a testa dedalica, busti muliebri in atteggiamento orante. Alcuni esemplari sono di particolare importanza come una dea, forse Giunone, tra i cigni, Eracle che lotta con il leone Nemeo e Artemide a cavallo. Vi sono teste nimbate o diademate, antefisse policrome a gorgoneion di età arcaica.
Perché rifulgesse nella sua forma più imponente e smagliante l’immagine della sua maestà sovrana Federico II fece costruire tra il 1234 e il 1239 la porta di Capua o Arco di Trionfo sul Volturno. Esso viene ritenuto “probabilmente il gioiello dell’arte federiciana e l’opera nel suo genere la più bella del tempo. Essa doveva ricordare la rottura dell’autorità regia e rivolta al nord verso lo Stato Pontificio essa vi si apponeva come ingresso nella sua Ecclesia regale e secolare.
Direttore di lavori fu designato l’architetto capuano Niccolò de Cicala. Esso constava di due torri a base poligonale collegate da massicce mura e riservava nella sommità un appartamento (cubiculum) riservato all’Imperatore. Ornavano la facciata la statua dell’imperatore “in maestà” con la corona sul capo e il globo nella destra e sopra l’iscrizione “Misero renderò ch’io sappia la voglia mutare”; a destra e sinistra della statua dell’imperatore erano i busti di Pietro della Vigna che recava questa iscrizione “Entrino sicuri quelli che bramano vivere puri” e quella di Taddeo da Sessa accompagnata da questa dicitura “tema l’infido di essere bandito e cacciato in carcere”.
Nella parte inferiore sopra la volta era una donna che rappresentava la fedeltà di Capua e recava sulla testa il motto: “Per comando di Cesare io garantisco la concordia nel Regno”. A Capua fu sempre connessa la denominazione di “fedele” come veniva denominato il busto che campeggiava sull’arco trionfale che si dice aditasse al posto del cuore l’aquila imperiale così s’intitolava la monografia più ampia e documentata ad essa dedicata da Francesco Granata “Storia civile della fedelissima città di Capua”. E così si compiaceva di definirla Carlo V. Nel 1557 il conte di Santafiore per ordine del viceré duca d’Alba fece abbattere l’arco con le torri per dar luogo a nuove fortificazioni e “potervi giocare il cannone”. La statua dell’imperatore fu mutilata del capo nel 1799 al tempo del passaggio dei francesi per Capua. e le sculture, rimosse dal loro posto originario, vennero sistemate in un’edicola; appena fondato il Museo Campano furono in esso trasportate e conservate nei depositi.
Restano ancora e sono qui esposte sei antefisse, una mensola con volto di giovinetto, una mezza figura di leone, un aquila con funzione di mensola, la sagoma di un grifo, tre capitelli e tre volute decorate nonché il busto solenne ed austero di Giove o più sicuramente Silvano.
Le decorazioni della porta erano formate da 16 “antefisse” che ornavano in giro l’ottagono inferiore delle torri e da una serie di sculture incastonate lungo le pareti della costruzione soprastante l’arco congiungente le due torri. Più in alto di tutte il rilievo raffigurante l’imperatore in trono; ai suoi piedi una scultura riproducente una testa di donna, allegoria di “Capua fidelis”; ai suoi lati i busti di Pier della Vigna logoteta e protonotario e di Taddeo da Sessa, gran giustiziere; al centro dell’arco, in funzione di “chiave” il volto maestoso di “Zeus”; armonicamente il tutto tra colonnine e capitelli di varia grandezza.
Le sculture della porta di Federico II sono una testimonianza notevolissima di un periodo artistico che si libera delle strettoie della tradizione classica del Mezzogiorno che si rinnova attraverso le pure forme romaniche preludendo alla più grande arte rinascimentale.
Le sculture sono sistemate “rispettando la esigenza di un esame da ogni lato… i grandi busti poggiano su tozze basi squadrate eccedenti di poco la linea dell’occhio in maniera da conservare una necessaria angolazione prospettica. Le sei antefisse superstiti… sono state disposte su di un unico mensolone, in maniera da rispecchiare l’originario senso di continuità decorativa… isolati sulla parete centrale la figura dell’Imperatore ed il leone”.
Le sculture federiciane, insieme alle sculture in tufo delle “madri” nel reparto archeologico, sono da ritenersi le collezioni più rare del Museo Campano.
Conserva iscrizioni e stemmi marmorei di famiglie capuane.
Iscrizioni longobarde, angioine, aragonesi. Un frammento di cimasa di Cattedra badiale del sec. XI(66); una calotta di Cattedra badiale del sec. XI(67).
Agli inizi degli Anni 70, durante i lavori per la costruzione della Scuola Media “Pier della Vigna” nell’area palaziale longobarda nel centro storico di Capua, fu rinvenuto un cospicuo numero di manufatti in ceramica di rilevante importanza e valore risalenti all’età tardo-medievale.
L’argilla impiegata cromaticamente oscillante tra il rosa-chiaro ed il verdastro e l’accertata presenza in epoca medievale a Capua di figuli o fossae figulorum, come si evince da documenti risalenti al 989 e 1106 autorizzano a ritenere che gli esemplari presenti nel Museo Campano siano un prodotto locale. Diversi pezzi sono ascrivibili ad un arco di tempo che si protrae dalla fine del XIII all’inizio del XIV secolo. Essi rappresentano anfore e boccali dipinti a bande rosse, boccali e lucerna monocroma verde. Invetriata monocroma gialla, in bruno, verde e rosso. E’ convincimento degli studiosi che queste ceramiche medioevali di Capua ampliano significativamente l’orizzonte conoscitivo delle classi e delle tipologie ceramiche in voga nella Campania tra il XIII e XIV secolo.
Da notare: una vasca battesimale donata dalla Badessa Gemma al Convento di S. Giovanni di Capua; Un monumento in onore di Tommaso Ruffo eseguito nel 1874.
La Biblioteca del Museo Campano è, per il numero dei volumi a stampa e dei manoscritti, pergamene, carte geografiche e stampe che contiene, la più importante di Terra di Lavoro.
II Museo Campano di Capua fu aperto al pubblico nel 1874 ma nell’anno precedente, alla esposizione Universale di Vienna, fu data lettura di una relazione sul Museo Campano nella quale per la prima volta fu annunciata la formazione di una biblioteca pubblica che, oltre ad illustrare nel modo più completo la storia millenaria della Civiltà Campana, avrebbe anche assolto alla funzione di rendere accessibile a tutti il suo patrimonio bibliografico. Pertanto il criterio principe che informò l’accrescimento delle collezioni fu quello di privilegiare la raccolta di documenti, a stampa o manoscritti, riguardanti la storia dei comuni della Campania Felix, nonché le opere prodotte dall’ingegno di uomini nati in questa terra.
Arricchita nel corso di più di un secolo da cospicue e preziose donazioni, la Biblioteca del Museo Campano si qualifica a pieno titolo come la più importante della Provincia e una delle più notevoli del meridione.
Dotata di un contingente bibliografico di oltre 70.000 unità (tra pergamene, volumi, opuscoli, manoscritti, riviste, stampe, carte geografiche etc.) copre con esemplari di altissimo pregio tutto l’arco dell’arte tipografica fin dalle origini.