GLI ORGANI AUTOMATICI SONO VISIBILI IN: retrostanze della Sala del Consiglio
aut. Leonardo Perretti
L’autore dei due organi fu Anton Beyer, come testimonia una targa intarsiata che si trova sul pannello anteriore dell’organo minore, che recita: “Anton Beyer – Meccanico della corte in Napoli”. Il Beyer è ben noto agli studiosi di strumenti meccanici, per essere stato uno dei migliori costruttori di organi automatici dell’ 800. Egli era originario di Vienna, e si trasferì a Napoli, su invito della Corte Borbonica, nel 1823. Da una parziale ricerca d’archivio, compiuta per l’occasione, sono risultati alcuni documenti, attraverso i quali abbiamo la testimonianza del suo arrivo a Napoli e del luogo in cui egli fu alloggiato. La qualifica di “meccanico” non deve ovviamente essere intesa nell’accezione odierna, ma con il significato di “esperto di meccanismi complessi”, che all’epoca si identificavano con meccanismi ad orologeria e similari. Non sono stati purtroppo trovati documenti riguardanti gli ultimi anni dell’attività di Beyer a Napoli e a Caserta. Si può ipotizzare tuttavia, come fa Latanza, che egli rimase in quella zona fino alla sua morte, data la grande quantità di materiale a lui ascrivibile che ci rimane. Beyer lavorò presso la Corte di Napoli, come si è detto, in qualità di “meccanico”. Egli veniva regolarmente stipendiato per curare la manutenzione degli organi che egli stesso aveva costruito, e probabilmente anche degli orologi, e costruiva nuovi cilindri, che gli venivano compensati a parte. Dell’attività di Beyer presso la Corte Borbonica, conosciamo almeno tre organi, che sono i due di Caserta, e un altro, firmato, attualmente di proprietà privata a Palermo. Abbiamo anche notizia di un organo che Beyer costruì per il palazzo reale di Capodimonte, per il quale furono pagati 15 cilindri nel 1827. Quest’ultimo strumento certamente non corrisponde con quelli di Caserta, per ragioni di incongruità temporale con i brani musicali contenuti nei cilindri di Caserta.
La Reggia di Caserta possiede due organi automatici di diversa dimensione e complessità, risalenti alla prima metà dell’ 800, ed un cospicuo patrimonio di 89 cilindri chiodati. Gli organi, il cui autore fu il maestro tedesco Anton Beyer, sono corredati da raffinati comò in stile impero destinati a contenere i novantanove rulli musicali, che a loro volta costituiscono un prezioso patrimonio per lo studio della musica.
Il primo organo
Il primo organo ha la forma di un secretaire, ed è dotato di orologio. è in stile impero ed in piuma di mogano e bronzo dorato.
Il secondo organo è di dimensioni maggiori.
L’organo automatico si presenta come un grande mobile in stile Impero chiuso con ante in legno, e contiene tre registri di canne in legno, divisi in bassi e soprani, azionati direttamente dai cilindri nel corso dell’esecuzione. Nella parte superiore due cassettini e tra questi un orologio. All’interno tre sportelli a segreto con tre piccoli cassetti.
Contenitore per i cilindri musicali
Uno dei vari comò destinati a contenere i novantanove rulli musicali, che a loro volta costituiscono un prezioso patrimonio per lo studio della musica. Questo contiene diciotto cilindri musicali.
Lo stipo in stile Impero in piuma di mogano, colonne piatte ai lati con applicazioni di capitelli in bronzo dorato , piano di marmo bianco di Carrara.
Interno dell’organo maggiore
Interno dell’organo maggiore
Interno dell’organo maggiore
I cilindri appartenenti allo strumento restaurato sono in numero di 44, mentre per l’organo maggiore ne esistono 45, per un totale, come si è detto, di 89. Si può ritenere che i cilindri arrivati ai giorni nostri siano la totalità di quelli costruiti, poiché da inventari storici della Reggia risulta lo stesso numero attuale. I brani contenuti nei cilindri rispecchiano la destinazione “colta'” degli strumenti. Si tratta per lo più di arie tratte da opere dei maggiori compositori dell’epoca: Donizetti, Mercadante, Verdi, Strauss, Pacini ecc. E’ probabile che il Re o i componenti della corte, scegliessero i brani da notare nei cilindri non appena le nuove opere, non di rado in prima esecuzione, venivano presentate al S. Carlo di Napoli. Nella notazione dei cilindri si partiva da trascrizioni per piano e voce, che venivano poi adattate allo strumento. Dall’analisi attenta dei cilindri, si può ritenere che la metodologia utilizzata da Beyer per notarli permettesse un’altissima risoluzione nel posiziona mento dei chiodi, che si traduce in un’estrema duttilità nella esplicazione degli elementi espressivi introdotti nelle fasi di trascrizione e di preparazione dei diagrammi musicali con cui furono notati i cilindri; il loro ascolto risulta quindi piacevole e fluido.
In un’epoca come quella attuale, in cui le tecnologie digitali sembrano aver superato in qualità e raffinatezza tutto ciò che era stato costruito nel passato, gli strumenti automatici vengono spesso visti con paternalistica benevolenza come tentativi più o meno goffi di imitazione di strumenti e musicisti reali. Ma non è così. Se analizzati da un punto di vista tecnico, e l’ascolto del risultato musicale non tradisce questa constatazione, essi mostrano di essere stati realizzati mettendo in atto strategie e soluzioni tecniche straordinarie, tali da consentire il massimo livello qualitativo del risultato finale. Nel nostro caso, si vede bene come un organo di sole 46 canne, seppure con voce flebile, adatto ad un piccolo studiolo cui probabilmente era destinato in origine, riesca a rendere pienamente la sensazione di un’intera orchestra senza che il valore musicale ne appaia menomato.
Accanto alla godibilità estetica non va trascurato un altro elemento che è il valore di rigoroso documento delle prassi e modalità esecutive antiche. Dall’esame dei cilindri, nel corso del restauro si è potuto rilevare che nell’atto della loro costruzione il notatore segnò in prossimità delle punte i simboli convenzionali che Bayer utilizzava per ricordarne la dimensione e, forse, la funzione musicale nell’ambito del brano. Tali simboli sembrano essere differenti da quelli a noi noti attraverso i trattati antichi conosciuti; questi cilindri potrebbero quindi permettere, se opportunamente indagati, di ricostruire con esattezza i metodi, altrimenti andati perduti, con cui Beyer, e la tradizione da cui egli discendeva, usavano per interpretare e tradurre il foglio musicale.
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